Passalacqua Franco

Il lavoro di Franco Passalacqua dimostra la mai scontata qualità di saper coniugare, con attinenza, ricerca esclusivamente linguistica e contenuto puramente poetico.
Il suo registro visivo, su queste basi, durante il suo percorso pluriennale, si è progressivamente precisato a favore di un alfabeto, dunque, in grado di risolvere questa apparente opposizione.
Tale aspetto è il risultato dell’approccio dell’artista, il quale, dalle raffigurazioni di paesaggi collinari alberati realizzati fra il 1993 e il 1999, che in nuce già racchiudevano le premesse del suo sviluppo stilistico successivo, perseguendo un processo di sintesi, ha definito la sua cifra estetica attuale.
Tuttavia, nonostante l’evolversi della sua grammatica, l’oggetto della sua indagine è rimasto, nei decenni, costante, la natura.
Quest’ultima – come accennato – è tradotta dall’autore secondo una doppia chiave di lettura: l’una evidentemente analitica e l’altra fortemente tematica.
A fronte del riconoscimento di tale distinzione del tutto critica, questi due caratteri, nelle opere dell’artista, si sovrappongono nei ranghi di un’unica narrazione.
Difatti, si veda come “Passalacqua ha scomposto la natura nei suoi componenti ma reinventandone la struttura prendendo come campione la chioma degli alberi quasi fossero dei corpuscoli atomici, elementi di quell’indeterminazione che appartiene alla lettura scientifica dei fenomeni fisici”.
Stando a questo procedimento formale, il ripetersi delle sommità degli alberi che costituiscono il continuum visivo dello scenario appenninico umbro, diviene il modulo della sua espressione.
Alle volte più dettagliate o ritmate cromaticamente, altre gestuali e stilizzate fino all’astrazione e altre ancora scandite da lumeggiature, le fronde eseguite dal pittore non tracimano nell’eccesso dialettico né nel semplicismo decorativo, professando sempre una nitida identità speculativa.
Così strutturato, il suo idioma si articola al pari di una texture e, come assecondando una regola frattale, genera superfici provviste di una metrica endogena, che talvolta valorizza maggiormente “il rigore costruttivo e a suo modo intransigente“ dell’esercizio pittorico dell’autore, mentre in altre enfatizza la percezione del dato naturale.
In entrambi i casi, per cogliere adeguatamente la complessità ora esecutiva, ora percettiva e ora tematica a fondamento della sua pratica, occorrono lunghe tempistiche di osservazione, necessarie per rilevare sia la precisione della parte metodica che la forza del richiamo alla categoria della natura.
A partire da questa peculiarità, si noti come l’atto di reiterazione che sovrintende la genesi del suo lessico non equivale a una seriazione sterile ma, poiché provvista del senso caldo della stesura manuale, rinnova l’entità lirica che ha sempre accompagnato il rapportarsi all’elemento naturale da parte degli artisti.
È questa, nell’insieme, la proporzione che, in merito alle opere in questione, norma il nesso fra il soggetto della pittura e la sua rappresentazione.
Pertanto, laddove lo spartito visivo si infittisce e si condensa, ravvisandosi come imperscrutabile, la sua restituzione, diversamente, risulta immersiva e coinvolgente, impostata sulla frontalità del confronto non mediato con la manifestazione della natura.
A ciò consegue una circostanza enigmatica: la visione dell’assoluto naturale invita il fruitore all’empatia, quasi a raccordare il proprio respiro con quello dell’ecosistema entro cui è iscritta tanto la sua esistenza quanto il relativo decorso ma, per converso, la stessa visione si avverte anche come straniante, perché la dimensione infinita della natura è inconciliabile con la condizione finita dell’individuo.
Come al cospetto di una costellazione, l’opera del pittore attrae e respinge.
La sua formula estetica, infatti, attira per la facoltà di veicolare il senso eterno dell’ordine naturale ma, nel farlo, pone l’individuo di fronte all’inaccessibilità del suo mistero più profondo.
Così accentuato, il linguaggio di Passalacqua, come un pattern, attraversa le superfici in maniera vibrante e pervasiva, incluse parzialità tradizionalmente ritenute secondarie come bordi o margini, come a innervarne l’intera fibra.
Nondimeno, la sua metodologia operativa non si limita alla saturazione della bidimensionalità della tela ma, nell’avanzare della sperimentazione, oltre che a testare supporti di materiali e formati differenti, giunge a riversarsi nella tridimensionalità della scultura.
Su questo frangente, egli lavora su forme elementari, geometrie e volumetrie esatte spesso iconiche di morfologie paesaggistiche e permeate dal susseguirsi incessante del dispiegamento naturale.
Nelle operazioni in oggetto, si riscontrano “modificazioni spaziali e sistemi trasparenti di relazioni simboliche.
La dichiarata perfezione formale di questi lavori, infatti, rimanda al canone del Minimalismo.
I suoi totem dipinti intercettano lo spazio e l’ambiente si fa atmosfera”. Concepite a terra o a parete, indipendentemente se più esili o più pronunciate, il tratto più marcato di questa tipologia di operazioni è il tentativo ricercato di dialogare con lo spazio, esternando una certa vocazione all’installazione, implicita a questi interventi.
Il lavoro di Franco Passalacqua, in questo perimetro d’azione, pur modificandosi nel tempo, ha preservato alcune caratteristiche distintive, acquistando un equilibrio convincente, non facile da raggiungere, fra diversità di esiti e coerenza d’investigazione artistica.